In base alla legge fallimentare, i reati di bancarotta fraudolenta e semplice (articoli 216 e 217 l.f.) rappresentano quell’insieme di fatti e condizioni che, anche se non determinanti, hanno comunque portato al fallimento del soggetto persona fisica o società. Se l’art. 216 analizza i fatti sotto il profilo della frode, ovvero nei commi: 1 – occultamento, dissimulazione e distruzione dei beni aziendali; 2 – falsificazione, sottrazione e disfacimento dei libri e delle scritture contabili; l’art. 217 invece si concentra più sui fatti di natura concludente attuati dall’imprenditore, esempio l’aver compiuto spese personali eccessive rispetto alla propria condizione economica, aver ritardato la richiesta di fallimento con un aggravio del dissesto economico, ecc.
Il caso
In considerazione della normativa esposta, una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 8349 del 29/02/2016) ha stabilito che: risponde di concorso in bancarotta il consulente che supporta i manager nella distrazione dei beni societari con la sua attività. I fatti riguardano un avvocato fiorentino che aveva contribuito al dissesto finanziario di una società cliente mediante la redazione di un contratto estimatorio. Il fatto, è costato all’avvocato l’imputazione a reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale in concorso estraneo, in pratica il dolo del consulente è stato quello di aver fornito consigli e suggerimenti sui mezzi giuridici idonei a sottrarre beni ai creditori. Nello stesso tempo nell’aver partecipato attivamente (in qualità di consulente) alla conclusione di negozi giuridici tali preservare una condizione di ipotetica impunibilità nei confronti del cliente (amministratore della società fallita). La Corte di Cassazioni ha quindi definito il reato di bancarotta fraudolente da parte di persona estranea al fallimento come quella condotta realizzata in concorso con il fallito capace di determinare il dissesto irreversibile dell’attività, con l’aggravante del terzo concorrente (consulente) di aver operato con consapevolezza nell’adozione di atti e fatti tali danneggiare i creditori dell’impresa. Gli stessi Ermellini, nell’affrontare l’esame della Corte territoriale di Firenze, hanno fondato il giudizio di responsabilità penale dell’avvocato nella sua consapevolezza di aver fornito il contributo causale alle condotte distruttive altrui sulla base delle insuperabili circostanze dei numerosi incontri avvenuti prima della stipulazione del contratto estimatorio, direttamente nel suo studio per organizzare e predisporre il programma nonché il piano delle azioni da attuarsi.
Se il profilo delineato dalla sentenza della Cassazione riguarda fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale, è lecito soffermarsi anche sui rilievi comunque penali che potrebbero avere, in caso di fallimento, gli illeciti nella tenuta delle scritture contabili e dei libri societari. In base al secondo comma dell’art. 216 della l.f., se l’imprenditore, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, falsifica, distrugge o sottrae i libri e le scritture contabili concorre nel reato di bancarotta fraudolenta documentale. In questo caso, i professionisti della consulenza contabile potrebbero essere chiamati in causa, così come l’avvocato qualora dal loro operato emergano dei profili omissivi, artificiosi nella documentazione (es. contabilizzazione di fatture palesemente false), e comunque di una tale gravità tale da giustificare l’illecito profitto (es. minore versamento delle imposte).
Lucio Steduto